I dati forniti dall’INPS sono secchi ed impietosi. Calano le assunzioni a tempo indeterminato, c’è stata un impennata nell’utilizzo dei vaucher.
Molti ancora non sanno di che si tratti, anche se il meccanismo è da decenni lo stesso: una maniera legale per avere al proprio servizio lavoratori formalmente autonomi in realtà dipendenti precari e senza alcun diritto.
Un collaboratore esterno non necessario licenziarlo: basta comunicare che le sue prestazioni non erano più richieste. Prima dei vaucher c’erano i co.co.co e i co.co.pro. Il “pro” sta per progetto. Se il progetto è finto, ed era sempre finto, il lavoratore poteva impugnare il contratto precario e chiedere l’assunzione. Una vera rogna per i poveri datori di lavoro, impegnati a mantenere intatti i propri profitti in tempi di crisi.
I voucher introdotti con il job act sono la risposta alla angosce degli imprenditori. Formalmente, va da se, sono tutt’altro. Sarebbero un modo per evitare il lavoro in nero, “normale”, quando si assume un lavoratore per una collaborazione breve e occasionale. Il voucher prevede che una parte dei soldi finisca all’INPS. Inutile dire che chi fa un lavoretto continua a farlo in nero: tutti preferiscono incassare tutto e subito, senza gettare nulla nel calderone dell’INPS.
I voucher vengono utilizzati in maniera crescente per pagare i precari, travestiti da lavoratori autonomi.
Lo stesso ministro del lavoro, di fronte ai dati diffusi dall’INPS, ha dichiarato che il “job act è una buona legge”, ma può essere corretta se la pratica evidenzia che qualcosa non funziona.
Chi credesse che Poletti abbia un sussulto di interesse per la condizione precaria si ricreda subito. Presto la Consulta si pronuncerà sull’ammissibilità del referendum sul job act: se dovesse passare potrebbe convenire al governo Gentiloni fare qualche ritocchino alla legge piuttosto che affrontare il verdetto delle urne.
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tratto da Anarres